Questi è il Signore di tutti.

Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
Battesimo del Signore (Anno A) – 8 gennaio 2023

Dio consacrò in Spirito Santo Gesù di Nazaret.

Dagli Atti degli Apostoli (10,34-38)
34Pietro allora prese la parola e disse: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone,35ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. 36Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. 37Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. 

La domenica successiva alla festa dell’Epifania, celebriamo il battesimo di Gesù, nelle acque del fiume Giordano. È questa la seconda manifestazione del Signore, che la liturgia ricorda, tra l’adorazione dei Magi (cf. Mt 2,1-12) e le nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11). La Chiesa ha sempre accostato questi tre eventi, pur se avvenuti in momenti diversi della vita di Gesù – si pensi all’Epifania e al battesimo – perché considerati come manifestazioni di Dio in Cristo, nella casa di Betlemme, con i Magi, la prima, al Giordano, nella colomba e nella voce, la seconda, a Cana, nel primo miracolo operato dal Signore, la terza. Posta sul finire del periodo di Natale, la festa odierna ci porta a compiere un salto di circa trent’anni, nella vita di Gesù, passando dai Vangeli dell’infanzia (cf. Mt 1-2; Lc 1-2), letti e meditati durante questo tempo natalizio, ai racconti della vita pubblica del Signore, che la liturgia del Tempo Ordinario dalla prossima domenica ci donerà. Questo permette di rivivere, nel corso dell’anno liturgico, tutti i misteri della vita di Gesù Cristo, iniziando dal Giordano fino alla Pasqua, perché la sua vita, nella forza dello Spirito, plasmi le nostre scelte e ci renda sui discepoli ed apostoli nel mondo. E così oggi, mentre il brano del Vangelo (cf. 3,13-17), racconta del battesimo del Signore, con quei segni che richiamano le grandi teofanie dell’antica alleanza, la Prima Lettura (cf. Is 42,1-4. 6-7), ci mostra come la scelta di obbedienza al Padre e di solidarietà con l’umanità, vissuta da Gesù, richiama il Primo carne del servo sofferente del Signore, figura di Cristo e modello del messianismo, che diverrà più chiaro nel discernimento del deserto, durante le tentazioni. Mentre il Salmo responsoriale (cf. Sal 28) canta l’intervento di Dio, a favore del suo popolo oppresso, con gesti potenti, che richiamano la teofania del Giordano, nella Seconda Lettura, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli (cf. 10,34-38), Pietro, nella casa del centurione Cornelio, prima di amministrare il battesimo a dei pagani, annuncia il mistero di Cristo, attraverso le tappe salienti della sua vita, che culmina nella Pasqua di morte e resurrezione.

Siamo chiamati oggi a riscoprire in Cristo la sorgente della nostra vita cristiana e nel battesimo il sacramento della rinascita, che ci ha resi figli nel Figlio, tempio dello Spirito del Risorto, membra vive della sua Chiesa e fratelli tra noi. Quanti doni abbiamo ricevuto da Dio! Doni da scoprire ogni giorno con stupore, da vivere con impegno gioioso, da testimoniare con coraggiosa responsabilità, tutto e sempre, sotto la mano dello Spirito che guida la Chiesa lungo i sentieri del tempo, verso il regno dei cieli.

Una Chiesa in uscita
Il libro degli Atti degli Apostoli, da cui è tratta la Seconda Lettura, rappresenta il secondo atto della vicenda storica di Gesù, che l’evangelista Luca racconta. Indirizzato anch’esso a Teolfilo (cf. At 1,1-3), come già il Vangelo (cf. Lc 1,1-4), narra la nascita della Chiesa, a Pentecoste ed il suo espandersi, con la forza dello Spirito, secondo il modello della vita e della missione sua affidata ai discepoli, la sera del giorno di Pasqua (cf. Lc 24,44-49). Luca presenta così il piano della sua opera, in una coerente continuità con il suo Vangelo, perché la Chiesa è il corpo del Signore Risorto, che continua, nella storia, la missione di costruire il regno di Dio tra gli uomini. Proprio per questo, il libro degli Atti viene definito il Vangelo dello Spirito Santo, dopo la prima opera che è il Vangelo di Gesù Cristo e che narra le vicenda della sua vita terrena. Il materiale del libro è solitamente diviso in due parti. Dopo i primi capitoli, con la descrizione degli eventi che seguono la Pasqua di Gesù e la sua ascensione al cielo (capp. 1-5), Luca presenta l’espansione della predicazione evangelica, partendo da Gerusalemme fino ad Antiochia (capp. 6-12) e poi, secondo lo schema dei tre viaggi missionari, la predicazione di Paolo, giungendo a descrivere la prigionia dell’apostolo a Roma (capp. 16-28). L’opera ha come finalità teologica quella di rileggere la storia alla luce della resurrezione di Cristo, ravvisando in essa il modello della trasformazione dei credenti, animati interiormente dalla forza dello Spirito, promesso ed effuso dal Risorto. Proprio per la sensibilità che dimostra nella potenza dello Spirito, che anima e sostiene la vita del credente, Luca appare come un fedele discepolo di Paolo, che nelle sue lettere – si pensi a Rm 8 – indica nello Spirito del Signore l’agente della trasformazione del cristiano, che in tutto è conformato al Maestro e nel mondo continua la sua missione, testimoniando il suo comandamento.

            Il brano che la liturgia ci dona è un breve inciso (vv. 34-38) del capitolo decimo del libro degli Atti, dedicato alla conversione dei pagani, ad opera di Pietro (cf. At 10-11). Si tratta delle prime missioni fuori da Gerusalemme, dopo il martirio di Stefano (cf. At 7) e la conversione di Saulo (cf. At 9). La Chiesa, guidata dallo Spirito, si apre alla novità di Dio e proprio quando sembra sperimentare la prova della persecuzione, conosce una straordinaria ed inaspettata espansione. Per volontà di Dio, Pietro è il fautore di questa significativa apertura al mondo pagano e dopo aver confermato i fratelli nelle città di Lidda e Giaffa, è chiamato a Cesarea dal centurione romano Cornelio, “un uomo religioso e  timorato di Dio” (At 10,2). Così Luca descrive gli antefatti della nostra pericope: “Un giorno, verso le tre del pomeriggio, [Cornelio] vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: “Cornelio!”.  Egli lo guardò e preso da timore disse: “Che c’è, Signore?”. Gli rispose: “Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te. Ora manda degli uomini a Giaffa e fa’ venire un certo Simone, detto Pietro”  (At 10,3-5). Prima che gli inviati di Cornelio giungano a Giaffa, il giorno dopo, Pietro, in estasi, è preparato dal Signore, con una visione (cf. At 10,9-16), ad annunciare il Vangelo anche ai pagani, accogliendo gli ambasciatori del centurione (cf. At 10,19-23), con i quali, il giorno seguente, parte alla volta di Cesarea. L’incontro con Cornelio avviene per strada, dove questi gli è andato incontro. Proprio lungo la via, l’apostolo ascolta il racconto di quanto gli è accaduto in visione e, una volta entrato in casa, inizia a predicare. Il brano liturgico comincia proprio in questo punto, al versetto 34: “Pietro allora prese la parola e disse: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (vv. 34-35).

            È significativo è bello notare come Luca ci presenti una Chiesa in uscita dal cenacolo, per la forza dello Spirito, che vive la missione come imperativo ineludibile, impegno concreto, necessità impellente. Comprendiamo l’ansia di Paolo nell’evangelizzazione – “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo;  è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16) – mostra bene la sollecitudine di ogni apostolo, consumato dal fuoco di Dio, trasformato dal Risorto, irradiato dal suo amore, che vive in Lui e di Lui, pronto a tutto per il Vangelo (cf. 1Cor 9,23) ai sacrifici più eroici, in situazioni anche limite (cf. 2Cor 11,24-29), pur di annunciare Gesù Cristo e la potenza della sua resurrezione. La Chiesa, che voglia perpetuare nel mondo la vita di Cristo e la salvezza che discende dalla sua Pasqua, per suo comando  e con la sua forza, vive la missione come stile suo proprio, la missione di Cristo e come l’ha vissuta Lui. “Evangelizzare, infatti, – scrive Paolo VI, nell’Evangelii nuntiandi – è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione” (EN 14). Pietro e gli apostoli sono un esempio di cosa significhi uscire da sé stessi e dai propri luoghi, perché la potenza di Dio ci spinge, la carità ci possiede, lo zelo apostolico ci anima. Il discepolo porta Gesù agli altri e gli altri a Gesù, secondo quella mediazione esistenziale che ha scandito la vita del Maestro e che rivive nella vita e missione di chi lo segue. Questo vivere per gli altri e con gli altri non è il frutto della decisione umana o di un proposito personale; l’annuncio del Vangelo, la carità come opera di misericordia, il venire incontro ai bisogni dei fratelli non nascono dalla consapevolezza delle necessità altrui, ma dal fuoco vivo di Dio che ti consuma dentro. La Chiesa che Luca presenta nel racconto degli  Atti nasce dalla Pentecoste e senza quel momento e luogo fondanti dall’Alto non si comprende la corsa del Vangelo e la conversione che lo Spirito opera. Difatti, esci da te stesso, fai della tua vita un dono, in opere e parole, ti apri alle novità che il Signore ti pone davanti, affronti, con coraggio le difficoltà e le sfide, perché interiormente sei mossa da Dio, è Lui che determina le tue scelte, ispira le tue azioni eroiche, motiva il tuo impegno per risollevare chi è nella difficoltà. Difatti, “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella” (Sal 127,1). È Gesù che lo insegna: “senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Per questo Paolo può confidare; “Tutto posso in colui che mi dà forza” (Fil 4,13).  Per riscoprire l’indole missionaria del nostro essere Chiesa è necessario ravvivare il dono del battesimo e la grazia dell’essere, in Cristo, creature nuove. Inutile parlare di rinnovamento ecclesiale e di aggiornamento teologico e pastorale, se non si ricomincia dal primato di Dio, dalla sua azione in noi, dal desiderio di mettere a frutto in noi e tra noi l’inabitazione trinitaria, che il battesimo ci ha donato. Solo facendo viva esperienza di Cristo, possiamo essere fedeli alla nostra vocazione battesimale, nello stile della sua missione, perché ogni uomo, che cerca il suo volto di luce, lo trovi ed abbia in abbondanza la vita.

Le prima parola che Pietro pronunzia nella casa di Cornelio sono il segno di un cammino interiore che sta facendo, di un cambiamento che Dio sta in lui operando silenziosamente misteriosamente, di una vita che gradualmente si apre alla luce della volontà del Signore. “In verità sto rendendomi conto – egli dice, dando voce al suo animo – che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (vv. 34-35). La volontà di Dio la si comprende facendola e non la si fa, dopo averla compresa. Se così fosse, non sarebbe la fede e la confidenza in Dio il motore del volere e dell’operare, secondo quanto Egli chiede e vuole, ma il convincimento intellettuale e il proposito personale. Pietro si lascia guidare da Dio, attraverso ciò che gli capita ogni giorno. Il cammino della sua vita è soggetto a continui cambiamenti, come l’itinerario del popolo verso la terra promessa. Come allora era Dio a decidere la marca e la sosta per Israele, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, così per Pietro è il Signore che stabilisce cosa è bene ed opportuno fare, senza le ribellioni e le prevaricazioni che hanno scandito i tre anni di sequela. Pietro si lascia convincere, guidare, convertire, animare, condurre dallo Spirito del Risorto. Non è passivo alla sua grazia, ma collaborativo al dono che progressivamente riceve e che lo porta a crescere, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. È aperto a Dio e alla sua volontà, diversamente da quando, nel cenacolo, si disse non disposto a lasciare che il Maestro potesse lavare i suoi piedi (cf. Gv 13,7) oppure, prima ancora, quando redarguì il Maestro, perché non prendesse la via della croce (cf. Mc 8,32). Essere discepoli significa non prendere il posto del Signore e lasciarlo dire e fare, anche quando le cose non sono così chiare come si vorrebbe, anche quando tutto appare buoi e non si sa dove procedere. Pietro sta prendendo consapevolezza del cammino che Dio gli sta facendo compiere. Non pecca di superficialità, ma prende in considerazione quanto gli capita, senza paura. Come la Madre del Signore custodisce e medita le parole che ascolta e gli eventi a cui assiste, così egli lascia che tutto si depositi nel cuore, perché si sviluppi cristallina la coscienza di ciò che Dio gli sta dicendo ed indicando. Non basta vivere delle esperienze di Dio, è necessario diventare consapevoli di quanto il Signore opera nella nostra vita, così da trarre da ogni evento l’insegnamento che il Padre vuole che noi accogliamo, l’indicazione che si attende che noi mettiamo in pratica, con la sua forza. E così Pietro confronta ciò che è successo a lui ed il racconto di Cornelio, la sua estasi e la visione celeste dell’altro e, proprio da questo confronto, si rende conto dei passi che deve fare, se vuole che Cristo regni in lui, consapevole del cambiamento a cui deve assistere, nella Chiesa, perché diventi la famiglia dei figli di Dio, rigenerati a vita nuova mediante il battesimo.

Si può diventare consapevoli della volontà del Signore, se si è pronti ad aprirsi alla sua novità. In questo Pietro e Cornelio si trovano nella stessa posizione e devono, in maniera differente, accogliere quel disegno di Dio che, attraverso di loro, diverrà significativo per altri fratelli. Quello che notiamo in Pietro e Cornelio è la capacità di lasciarsi guidare dallo Spirito, aprendosi alla sua azione e alla sua novità. Mentre il centurione ha la visione di un angelo (cf. 10,3), l’apostolo ha un’estasi (cf. 10,10), manifestazioni divine concrete che accolgono di buon grado e dalle quali si lasciano determinare in un cambiamento di programma e di visone complessiva di vita. Entrambi si rendono conto che Dio sta chiedendo un cambio di passo, proponendo una diversa strada da imboccare, senza guardarsi indietro, pronti a quella trasformazione che li farà crescere e divenire adulti e maturi. Il “si è fatto sempre così” non significa fedeltà alla tradizione, quanto incapacità di approfondire il mistero di Cristo e di rendere vera ed incisiva la sua Pasqua anche per l’uomo di oggi. È necessario lasciarsi stupire da Dio, come Maria dall’annuncio dell’angelo, come Giovanni il Battista, dalla richiesta di Gesù, nel brano evangelico odierno. Dio può utilizzare tutte le strade che ritiene buone per farci conoscere la sua volontà. A Maria fu inviato Gabriele, come anche a Zaccaria, un messaggero celeste a Giuseppe in sogno, ai pastori un angelo sfolgorante di luce, ai magi una stella e a coloro che erano presenti al battesimo di Gesù una colomba ed una voce potente dal cielo. È necessario sapere decifrare i segni, codificare i messaggi divini, discernere la sua volontà, aprirsi ai suoi voleri, accogliere le mediazioni che ci vengono offerte, leggendo tutto come una opportunità per crescere, nella consapevolezza dei passi da compiere. Quello che ci frena, e non solo nel cammino di fede, è la paura di perdere le nostre sicurezze, il timore che crollino le fondamenta su cui abbiamo costruito tutto noi, senza Dio o facendo passare come se fosse stato Lui ad edificare ogni cosa, nella nostra vita. Abbiamo paura di cambiare, di metterci seriamente in discussione, di lavorare sul nostro cuore e non su quello che gli altri sono e fanno. Pietro e Cornelio lavorano su loro stessi e la novità di Dio non gli fa paura, perché sanno che è Dio che gli sta chiedendo un cambiamento per un bene più grande. Fino a quando guarderemo le novità di Dio e non il Dio che ci chiede delle novità, la nostra vita non conoscerà la grazia della trasformazione e la gioia di aprirci allo Spirito, che fa nuove tutte le cose.

È vero, lasciarsi destabilizzare non è una cosa semplice, ma non è certo bello rimanere sulle proprie posizioni, impedendo che la potenza e la salvezza del Risorto non raggiunga anche altri. Pietro si lascia destabilizzare dal Signore. Questo processo di destrutturazione mentale è iniziato con la chiamata e, andando avanti, si è sempre più imposto alla sua vita. Camminare con Dio significa che Lui solo è la roccia e nient’altro conta e può contare, perché è Lui la sicurezza e la vita vera, “Vengono meno la mia carne  ed il mio cuore, ma è Dio roccia del mio cuore, mia parte per sempre” (Sal 73,26). Credere significa fidarsi di Lui,  lasciar operare il suo Spirito, permettergli di afferrare le redini della nostra vita, per condurci lì dove Lui solo può e vuole. Il discepolo di Cristo impara la docilità, attraverso la strada spesso costellata di cadute, dove sperimenta la guarigione che la misericordia opera prodigiosamente e la forza di procedere in maniera ancor più spedita, confidando in Cristo. Lo stesso discorso vale per Cornelio. È aperto allo Spirito e sa che tutto viene dall’Alto. La visione non lo turba, come avviene con Zaccaria e né lo trova timoroso, quanto, invece, obbediente. Non comprende ma si fida, non capisce, ma si lancia, potrebbe dubitare, ma non lo fa, perché è Dio che è intervenuto nella sua vita. Il Signore talvolta sceglie delle persone che noi non avremmo pensato, per offrirci la sua salvezza. È quanto fa inviando Pietro a Cornelio e Cornelio a Pietro. A Lui piace così, perché colui che Egli invia deve far apparire in se stesso la gratuità del dono di Dio e la purezza del suo messaggio di salvezza. Pietro è un dono per Cornelio e Cornelio un dono ed una conferma per Pietro, perché nel cammino di fede siamo tutti fratelli e abbiamo un unico maestro, Cristo, un unico padre, Dio. Ruoli diversi nella comunità non significa che alcuni hanno privilegi sugli altri o diritti da far valere, perché l’unica nostra dignità è il battesimo, che ci rende figli uguali davanti a Dio, nostro Padre e fratelli gli uni degli altri, in Cristo. Le vocazioni specifiche sono ministeri che edificano il corpo di Cristo che è la Chiesa e rendono vivo, per il dono dello Spirito, il regno di Dio tra noi. Cornelio non ha scelto Pietro e viceversa, eppure si accolgono in Cristo, si comunicano l’esperienza che stanno facendo e permettono a Dio di condurli e di trasformare la loro storia, prendendo strade non prima pensate. Si possono fare esperienze di ogni tipo, ma se non c’è la volontà di farsi guidare dal Signore e di mettersi seriamente in discussione, permettendo alla grazia di convertirci, è tutto vano.

In Cristo siamo tutti fratelli
Pietro rilegge il disegno di Dio, che Cristo rivela e comprende che “Dio non fa preferenza di persone, 35ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (vv. 34-35). È quanto anche Paolo aveva insegnato ai Galati: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26-28). La Chiesa è una comunità di eguali e la radice di questa uguaglianza è Cristo che “da ricco, si è fatto povero” (2Cor 8,9) ed è diventata (v. 34). Il Figlio di Dio, prendendo al nostra natura umana, ci insegna a combattere il male e ad opporci al potere di Satana. La grazia del battesimo ha portato Lui a combattere il diavolo, affrontandolo con la forza di Dio. Anche noi abbiamo ricevuto l’unzione dello Spirito Santo e la presenza sua in noi e dentro di noi deve portarci a vincere sul male e a combattere, con la forza che viene da Dio e che agisce con potenza in noi, per eliminare ogni barriera di divisione e di ingiusta discriminazione. È necessario collaborare con Dio, perché continui ad operare l’impossibile. Se Cristo, consacrato dallo Spirito, “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (v. 38), non potrà forse accedere lo stesso in noi, se ci lasceremo plasmare, abitare, consacrare, rivitalizzare, convertire dallo Spirito Santo? Pietro non solo annuncia l’esperienza trasformante del Signore, ma egli stesso si lascia trasformare dallo Spirito di Pentecoste. Permettiamo a Dio di combattere in noi e di fare sempre più spazio al Dono del Risorto, che in noi e tra noi compie meraviglie di grazia.