Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) – 5 febbraio 2023
Voi siete la luce del mondo.
Dal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)
[In quel tempo] 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
Con la pericope evangelica odierna (cf. Mt 5,13-16), la liturgia della Quinta Domenica del Tempo Ordinario ci offre di stare ancora sul monte delle beatitudini, per ascoltare Cristo, che mostra il vero volto di Dio e dona ai suoi la loro vera identità di uomini e discepoli. Due elementi – la luce ed il sale – sono le similitudini utilizzate dal Maestro, perché chi lo segue comprenda la sua vita come missione e testimonianza evangelica, nel mondo e per il mondo.
Nella Prima Lettura (cf. Is 58,7-10) il profeta si rivolge ad un popolo che, ritornato dall’esilio, fatica a vivere la fede in Dio, lavorando alacremente nella ricostruzione della propria identità nazionale. Solo quando il culto, lungi dal formalismo, porterà ogni pio israelita a farsi prossimo con chi si trova nella difficoltà e nel bisogno, “la tua luce sorgerà come l’aurora […] brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio” (Is 58,8.10). L’immagine della luce, nel Salmo responsoriale (Sal 111), ritorna a descrivere il giusto, le cui azioni sono il segno di un cuore che rimane saldo, perché orientato in Dio. L’apostolo Paolo, invece, nella Seconda Lettura (cf. 1Cor 2,1-5) testimonia come il ministero che esercita in nome di Cristo sia modellato sulla sua croce e trasmetta, con la stessa modalità di stoltezza umana e potenza di Dio, l’annuncio della salvezza e la grazia dello Spirito Santo, perché il regno di Dio si diffonda tra gli uomini.
La sacra Scrittura, imbandita dalla Chiesa, sulla nostra mensa è lampada che arde e risplende, celebrando la 45a Giornata della vita. Siamo luce e sale (Vangelo), e quindi veri discepoli di Cristo, quando rigettiamo ogni cultura di morte e ci facciamo promotori di vita, attraverso la gratuità dei nostri gesti di operosa carità (Prima Lettura), perché nella nostra debolezza risplenda la stessa potenza del Signore crocifisso e risorto (Seconda Lettura). Tutto perché il mondo creda, credendo, speri e sperando ami.
In dialogo amicale con Gesù Cristo
Il Discorso della montagna (cf. Mt 5-7) è formato da tanti brani – con molta probabilità insegnamenti del Signore offerti in varie occasioni e raccolte dall’Evangelista in una sezione unica – simili a delle perle della stessa collana. Ciascuna mostra la sua propria bellezza, ma è dalla loro unità che deriva una maggiore preziosità. Ogni singolo brano ridonda della luce delle beatitudini e ne sottolinea ora un aspetto ora un altro, talvolta ne amplia l’orizzonte, traducendo il primo sintetico insegnamento, codificato nei primi dodici versetti del capitolo quinto, nei diversi contesti della vita del discepolo. La pericope di oggi (cf. 5,13-16) segue il brano delle beatitudini della scorsa domenica (cf. 5,1-12), senza interruzione di continuità. In quello il Signore mostrava come ogni situazione della vita, scandita dalla difficoltà e dal bisogno, diventi luogo della rivelazione della potenza di Dio, che dall’interno trasforma la storia e mette nel cuore degli uomini i semi di una nuova umanità. Il criterio è sempre la vita di Gesù, visto che il paradosso dell’esperienza cristiana del discepolo segue e ripresenta la dinamica della vita del Maestro, da Betlemme al Golgota. Egli, definito agli occhi degli uomini il perdente, è stato riscattato dalla forza dell’amore del Padre, segno di grazia, per quanti vivono in Lui e di Lui, nella forza onnipotente del suo Spirito. Nel nostro brano, abbiamo poi la diretta conseguenza della vita di chi segue il Signore, sulla ardua strada della beatitudine. La sua è un’esistenza consegnata al mondo, per la vita dei fratelli, come quella di Gesù. Proprio il riferimento a Cristo – lo si comprende tra le righe, all’interno dell’intero racconto evangelico – mostra come sia Lui la chiave, perché noi comprendiamo il mistero della nostra vita e della nostra identità, visto che la nostra vocazione e missione nel mondo è ripresentazione della vocazione ricevuta dal Padre.
La prima cosa che notiamo, alla lettura del nostro brano, è il passaggio dal discorso solenne delle beatitudini in terza persona, al dialogo diretto di Gesù con i suoi interlocutori, in seconda persona plurale, già iniziato negli ultimi versetti della precedente pericope (cf. 5,11.12). Dal “Beati” si passa a “Beati voi […] Rallegratevi ed esultate”, quasi a dire che la parola di Cristo non è mai astratta, ma proposta di vita concreta per ogni credente. L’insegnamento del Signore ci interpella in prima persona, per questo ogni pagina del Vangelo deve calarsi nella nostra vita e applicarsi alle situazioni che viviamo. Tale passaggio dal generale al particolare è il lavorio interiore che siamo chiamati a fare ogni qualvolta si legge e si voglia meditare il Vangelo. Se, nella nostra riflessione quotidiana, scendiamo a quel livello più profondo, ad un rapporto personale con Cristo, ad un dialogo diretto ed amicale, il nostro cuore accoglierà il seme della divina Parola e la grazia dello Spirito, che la Scrittura sprigiona, toccandoci in profondità, ci renderà discepoli obbedienti all’insegnamento del Signore, pronti a lasciar fare al Paraclito quanto contempliamo come opera sua nella vita di Gesù. Il Vangelo deve spingerci ad un dialogo vero con Cristo, abilitandoci ad entrare in amicizia con Lui, perché, lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino, la sua voce plasmi il nostro animo e determini, orientandole verso il bene, le scelte della vita. Il Signore plasma la nostra esistenza e, nelle mani dello Spirito, che la Scrittura contiene e trasmette soprattutto nella liturgia, l’argilla della nostra esistenza entra gradualmente nello stampo della vita di Cristo, modello del nostro vivere, secondo il disegno del Padre.
Parlando direttamente al nostro cuore ed interpellandoci personalmente, nel Vangelo di oggi, Cristo ci offre un metodo di lettura. Quanto ascolto della Parola di Dio è per me! Il Signore, nel momento i cui leggo il Vangelo, mi sta parlando, come un amico, mi guarda negli occhi e chiede il mio assenso, attende la mia risposta. Il dialogo crea la reciproca conoscenza che è il segno vero di ogni autentica e sincera amicizia: Egli parla al mio cuore di Lui e del mistero della sua divina Persona, al contempo, parla a me di me stesso, mi guida a quell’autocomprensione del mistero che io sono e che, per essere decifrato, ha bisogno della sua luce e della sua guida. Questo dialogo diretto che Cristo intavola con ciascuno di noi, tante volte non ricambiato per distrazione o paura, superficialità o incapacità e cattiva volontà di lasciarsi mettere in discussione, è il segno di un amore che ci avvolge, di uno sguardo che ci segue, di una parola che ci raggiunge, di un Dio che è per ciascuno l’Emmanuele, il Dio con noi e per noi. Solo se avverti la mano di Gesù su di te, un occhio che non giudica, ma che accoglie, ama, accompagna e rasserena, solo se percepisci che la sua parola scuote dalle fondamenta la tua vita, non per il gusto di destabilizzarti, ma per donarti un altro centro, Lui, ed un orizzonte vero, rispetto a quello che l’egoismo ci fa abitare, solo se permetti che Lui ti parli di te e del mistero che tu sei e vivi, potrai vivere l’amicizia con Cristo, senza la paura di essere derubato, il timore di venire giudicato, l’ansia di sperimentare il suo rifiuto. Cristo si strugge dal desiderio di stare con te, di guardarti in profondità, per effondere in te quell’amore che mette in circolo la carità nella tua vita e, attraverso di te, nelle vene della storia. Possiamo anche dire che entrare in amicizia con Gesù, sentire che la parola ascoltata o letta è indirizzata proprio a noi, non sia poi così semplice. Dobbiamo però confessare che la sua voce è avvincente e liberante, la sua parola ci dona tutto prima di chiederci tutto, perché siamo fatti per l’infinito e tutto ciò che non ci conduce oltre il limite di noi stessi non può appagare il nostro cuore. Per questo la parola di Cristo disseta il cuore e riempie l’animo di letizia. Che poi questo comporti il sacrificio dell’introspezione, la moderazione e talvolta l’umiliazione della falsa immagine che abbiamo di noi stessi ben venga. Vale la pena giocarsi tutti per Chi si è già giocato tutto, fino alla morte, per noi.
Leggere il Vangelo in prima persona
Il “voi” che Cristo rivolge ai discepoli, saliti sul monte con Lui (cf. 5,1), dispiega ai nostri occhi la bellezza del dialogo con il Maestro, mostrando la grande fiducia che Egli nutre per coloro che lo seguono. Se Gesù parla, presentando un insegnamento apparentemente difficile e umanamente paradossale, è perché crede che quanti lo seguono lungo le strade della Galilea, attraverso il Vangelo annunciato ad ogni creatura, hanno la capacità, dono dello Spirito, di aprirsi alla novità della sua predicazione e di fare quel passo in avanti, che forse essi stessi reputano di non poter compiere. Quando Dio ci parla, conosce meglio di noi le nostre possibilità e la sua voce va a scovare quelle energie vitali che in noi non sono ancora totalmente espresse e conosciute e, se già viste, hanno bisogno della sua grazia per essere messe a frutto, per la sua gloria e non per l’affermazione egoistica di noi stessi. Abbiamo sempre paura di quanto il Signore può dirci, perché viviamo come un furto le sue richieste, uno strappare noi a noi stessi, noi ai sogni che abbiamo, ai desideri che nutriamo, ai sogni che, ad occhi aperti, abitano e sostengono, in maniera illusoria, la nostra vita. La parola di Cristo ci restituisce la nostra vera identità, ci rende ciò che siamo, conducendoci a scoprire l’immagine sua in noi, chiede a ciascuno la docile accoglienza del suo Spirito, per essere sua perfetta somiglianza. Se Gesù non reputasse i discepoli in grado di accogliere la sua parola, non l’avrebbe loro indirizzata, come anche se Gesù non credesse in noi e non sapesse che il suo Spirito ci ha già predestinati, nel cuore, nelle mente e nelle forze, ad obbedire alla sua volontà, resterebbe in silenzio. Dio ci parla quando sa che noi siamo in grado di ascoltare e di fare quanto ci chiede, di essere docili allo Spirito che abita in noi dal giorno del battesimo e di portare, nella Chiesa e nel mondo, l’annuncio della salvezza, che discende dalla sua Pasqua. Dio deve lottare in noi contro le paure, le insicurezze, il senso di inadeguatezza, i fallimenti passati che ancora, come dei fantasmi, abitano dentro di noi e inibiscono la nostra volontà, tarpando le ali del coraggio e della fiducia in Dio e in noi stessi. È importante sapere che Dio si attende tanto da noi, perché ha costruito la nostra vita in modo tale da lasciarci conformare in tutto a Gesù. Per questo quando ascoltiamo la sua voce dobbiamo prima di tutto pregarlo, perché il timore non soffochi il seme suo e la smania di fare tutto e subito lasci il posto alla pazienza e alla calma, perché ogni cosa si compia seconda la sua volontà, per la maggior sua gloria.
Quello che Gesù fa, con la sua parola, è rivelarci la nostra identità, che discende dal discorso paradossale delle beatitudini. Chi accoglie la nuova Legge del regno di Dio, colui che permette alla tavola del cuore di Gesù di essere la pienezza dell’antico Decalogo, divenendo lampada per la propria vita e faro di ogni scelta, avverte che tale cambiamento di prospettiva, il radicale mutamento della sorgente che alimenta il proprio essere ed agire – dall’egoismo a Cristo, dall’essere dio di se stessi al Padre di Gesù Cristo, Dio unico e Signore onnipotente – ha come diretta conseguenza percepirsi in modo differente e vivere nel mondo in maniera alternativa, in termini di servizio e di dono. Il discepolo, che trova nelle beatitudini la sua bussola, scopre che Cristo è il Signore che dona gioia vera a chi lo segue. La relazione con Gesù, l’ascolto della sua parola, la familiarità con il Risorto, inviato dal Padre a rivelare il suo disegno sul mondo, lo conduce a guardarsi con occhi nuovi e a scoprirsi parte di un disegno più grande e più bello. È la scoperta che Maria fece della sua vita, attraverso la parola di Gabriele ed il mutamento che Giuseppe sperimentò, in sogno, quando venne visitato dall’angelo. Il mio io, quello che mi rende ciò che sono, mi è svelato dalla parola di Cristo. È l’amicizia con Lui a rivelare la mia identità autentica, superando il provvisorio e la superficialità, ambiti nei quali il Nemico vuole che io rimanga e mi aggrovigli, evitandomi l’incontro con la verità che mi costituisce, con l’amore che dona forma e senso al mio vivere. Così facendo la Parola di Gesù mi porta a conoscere Lui e me stesso, perché solo alla sua luce io vedo in me la luce e riesco a decifrare il mistero della mia vita. Scoprendo l’identità di Gesù, approfondendo la sua messianicità, io mi comprendo come creatura – immagine e somiglianza di Dio – e vedo in me le potenzialità che sono chiamato ad utilizzare, facendomi guidare dallo Spirito Santo, per essere me stesso. Io sono stato creato ad immagine somiglianza di Cristo, ma questa rappresenta una possibilità, perché è la mia volontà e la docilità da offrire alla grazia a rendere concreta la mia identità. Il graduale sviluppo della nostra esistenza porta ciascuno ad affrancarsi dal potere delle tenebre e a rifiutare un’identità scandita dall’egoismo e dalla superbia, per essere trovata in Cristo. Chi è innestato nella vita beata del Signore, interiorizza la linfa delle beatitudini, si scopre chiamato a vivere alla maniera di Gesù Cristo e, nel rapporto con il mondo, continua la sua missione. Come Cristo non ha vissuto solo per se stesso e non ha perseguito un’esistenza scandita dalla ricerca del proprio tornaconto, ma tutto si è offerto agli uomini, così i suoi discepoli sono chiamati a seguire le sue orme e a farsi costruttori di autentica umanità, pietre vive nell’edificazione del suo regno di giustizia e di pace. In tal modo ogni credente è portato a donare il proprio contributo, sull’esempio di Gesù, per edificare la società degli uomini, con la dinamica della morte che fa nascere la vita. È la Pasqua di Cristo la vera sorgente di un mondo nuovo e, a ben vedere, il sale e la luce ripropongono, sotto il velo di semplici similitudini, quella potenza trasformante che lo Spirito di Cristo rende attuale in ciascuno di noi.
Non si vive solo per se stessi
La struttura del brano evangelico, formato da appena quattro versetti (cf. 5,13-16), è semplice e di facile comprensione. Due immagini (sale e luce), in riferimento ad un contesto più ampio (mondo e terra), mostrano cosa il discepolo è chiamata ad essere, nella testimonianza della gioia che vive, unito a Cristo. La sintesi del suo insegnamento e l’applicazione concreta alla vita è operata dall’ultimo versetto (v. 16), nel quale Gesù indica come ogni azione umana debba mirare alla gloria di Dio Padre, fuggendo ogni tipo di inutile ed infruttuosa autoesaltazione. Le singole immagini del sale e della luce, desunte dalla vita quotidiana e applicate all’esperienza cristiana, indicano l’incisività e la grandezza della testimonianza e, al tempo stesso, i pericoli e l’inutilità dell’incoerenza, in cui tutti possiamo incorrere.
Gesù confida ai suoi “Voi siete il sale della terra” (v. 13). La parola è diretta, priva di edulcorazioni, stringente nella provocazione, avvincente nell’avventura che propone. La vita del discepolo è simile al sale, che, sulla terra, ha la capacità di dare sapore agli elementi. La struttura asciutta del Vangelo non dona spazio a particolari di sorta, anche se permette, tra le righe, di cogliere una profondità rilevantissima. Come il lievito si mescola nella farina e permette la lievitazione di tutta la pasta scomparendo ed il sale dona sapore sciogliendosi e rendendosi invisibile, pur offrendo ai cibi di svelarne il sapore, così il discepolo dona il sapore di Cristo, la grazia della gioia evangelica, la ricchezza della sua povertà, solo quando comprende che la sua vita è per il mondo, per gli altri, per i fratelli. Questo è vero per il credente e la sua comunità, per i religiosi e le famiglie, per la Chiesa ed ogni istituzione ecclesiale. Siamo sale per il mondo, non per l’autoconservazione della nostra singola e piccola realtà, non per far crescere e prosperare le attività del nostro gruppo o della nostra cerchia ma per il mondo. In tal modo siamo invitati a puntare alto, ad allargare il cuore, ad imitare Cristo, che guarda alla salvezza di tutti gli uomini, come si prende cura di quell’unica pecora che si era smarrita allontanandosi dalle novantanove del gregge. La Chiesa non esiste per se stessa e la sua attività non è finalizzata all’autoconservazione, perché questo significherebbe tradire Cristo ed il suo Vangelo, non partecipando alla dinamica pasquale della vita che nasce dalla morte. Gesù apre ai suoi l’orizzonte sconfinato del mondo nel quale sono chiamati a spargere la propria vita come il sale, a scomparire, senza accampare diritti o alzare la voce per farsi ascoltare e rendersi visibili. Il cristiano non ha diritti da accampare e privilegi da vantare, perché, unito alla croce del Signore, ne perpetua nel tempo la dinamica paradossale di una vita consegnata per amore, perché il mondo conosca la salvezza e incontri, nella povertà, la potenza disarmante dell’amore.
Scomparire come il sale è l’unico modo per dare sapore, con la propria vita, consegnata all’opera della grazia. Dona sapore un padre o una madre nel donarsi senza misura, senza attendere il contraccambio, accogliendo la vita, in ogni situazione e ad ogni costo; dona sapore un presbitero, quando si offre, nel silenzio e spesso nell’indifferenza, sapendo che la sua ricompensa è il Signore e non la gratificazione degli uomini; dona sapore al mondo ogni credente che, senza suonare la tromba, edifica la città degli uomini e non priva il mondo del gusto della presenza del Salvatore, attraverso una vita che ne diventa segno eloquente, con il lavoro e lo studio, portati avanti con sacrificio e amore. Il mondo non sa che farsene di coloro che hanno perso il gusto delle beatitudini, che ha smarrito la strada della croce, che non vivono uniti al loro Maestro. Uniformarsi al mondo e alle mode del secolo non è un buon criterio nell’inculturazione perché il Vangelo deve trovare linguaggi nuovi per esprimersi e non perdere la sapienza della croce, la potenza del Crocifisso, la luce del Golgota, la bellezza del giardino, dove il Signore, all’alba del terzo giorno, passò dalla morte alla vita. La società di oggi desidera e pretende da chi segue Cristo una testimonianza bella e gioiosa, incisiva e credibile dell’amicizia con Lui, un raggio della sua presenza, un effluvio del suo inconfondibile profumo di vita. Quando, invece, perdi Cristo, smetti di pregare ogni giorno, ti fai prendere da distrazioni ed impegni, accantoni l’amicizia con il Signore, la tua vita perde di bellezza e di mordente e tutto appare inutile, perché Gesù è la sorgente zampillante della gioia che dona bellezza lì dove la sua acqua disseta e dove il deserto del cuore anela alla pienezza della vita.
Ci sono momenti nella nostra vita in cui avvertiamo l’inutilità e la stanchezza del cammino, perché abbiamo perso Gesù, non siamo legati a Lui, come i tralci alla vite, abbiamo smarrito il gusto di Cristo e la gioia dello stare con Lui. Anche in quei momenti, però, siamo chiamati a non disperare, perché confidando nella misericordia, che attingiamo dal costato del Crocifisso, è possibile risalire la china e riprendere il cammino della gioia. Cristo è il medico misericordioso e se, per la fragilità della nostra volontà o le coincidenze di alcune situazioni, che ci fanno smarrire la bussola, sperimentiamo la lontananza da Cristo, Lui non si allontana da noi e ci vien sempre a cercare.
Beato colui che confida nel Signore e da Lui riceve il sapore della sua amicizia, il balsamo della misericordia che guarisce e l’olio che fa brillare il suo volto. Benedetto il Signore che non ci abbandona a noi stessi ed è la bonaccia nella nostra tempesta, il Pastore buono che ha cura di ogni sua pecora. Sei tu, mio Signore, il sapore della mia vita, che io non ti perda. Sei tu la luce dei miei occhi, che io non ti volti le spalle. Solo in te ho vita e gioia. Solo da te ricevo esistenza e forza. Solo per te il mondo può sperare e ricevere la grazia della salvezza e la potenza del perdono e della pace.
Non dobbiamo arrenderci al male e neppure credere che siamo destinati alla perdizione e all’inutilità perpetua, dopo le cadute che fanno crescere l’umiltà e ci danno di guardare, con realismo, la nostra vita. Mai chiedere a se stessi di essere perfetti, sarebbe innaturale, visto che siamo delle creature, ma neppure non desiderare la perfezione, permettendo a Dio di essere la sorgente in noi della nostra gioia. Anche il nostro essere peccatori perdonati ci rende sale per il mondo, capaci di annunciare, con la vita, quanto la misericordia del Salvatore riesce a compiere in coloro che confidano in Lui.
Creati per illuminare e vincere le tenebre
La seconda immagine che Gesù dona ai suoi è quella della luce. Icastico è il suo dire “Voi siete la luce del mondo” (v. 14). Come una città è posta sul monte e una lampada è accesa perché faccia luce, il discepolo è chiamato a spendersi, cosicché il mondo conosca la luce di Cristo e viva al suo chiarore. Combattere la tenebra, con la propria luce, una luce che splende dentro e si rivela fuori, una luce che non teme nulla, perché è di Cristo e viene da Lui: è questo il senso della nostra vita e missione tra gli uomini. Non si tratta di imporre egoisticamente se stessi agli altri, quanto di diventare trasparenza di Dio, ambasciatori della sua parola, testimoni del suo amore, segno credibile della sua salvezza e della misericordia, che ci rende creature nuove. Ogni nostra azione, pensiero, parola e desiderio, deve essere volto alla gloria di Dio, questo è il nostro unico fine, come la vita di Gesù, che tutto operò per mostrare il volto amoroso del Padre. Solo così la nostra esistenza avrà il sapore dell’eternità e sarà fedele a Dio, che ci ha chiamati, e a ogni uomo, a cui siamo stati inviati a donare il sapore del Vangelo e la luce del Redentore.