In Cristo Gesù, buon pastore, abbiamo tutto!

Commento al Vangelo di fra Vincenzo Ippolito ofm
IV Domenica di Pasqua (Anno A) – 30 aprile 2023

Io sono la porta delle pecore

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)

1 “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.


La terza tappa del nostro itinerario verso la Pentecoste è definita Domenica del buon Pastore, perché, nei diversi cicli liturgici, si legge un brano del capitolo decimo del Vangelo secondo Giovanni. A bene vedere poi, c’e un cambio di registro, perché mentre le precedenti domeniche ci hanno condotti a leggere esperienze del Risorto, fatte dai discepoli, da oggi leggeremo pericopi che ci riportano al ministero pubblico di Gesù, quindi prima della sua Pasqua. Mentre la Prima Lettura continua a donarci il racconto degli Atti degli Apostoli (cf. 2, 14a.36-41) circa i fatti accaduti dopo il discorso di Pietro, il giorno di Pentecoste – le folle chiedono quale strada intraprendere per avere in Gesù Cristo la salvezza e la vita – nella Seconda Lettura, tratta dalla Prima Lettera di Pietro (cf. 2, 20b-25), l’autore, sotto forma di prosa ritmica, ci presenta l’itinerario di Cristo, che il credente è chiamato a seguire, calcando le sue stesse orme. La figura del pastore, così presente nell’Antico Testamento, oltre che nel Vangelo (cf. Gv 10,1-10) ritorna nel Salmo responsoriale (cf. Sal 22), che traduce in preghiera l’esperienza dell’orante guidato da Dio, come una pecora dal suo pastore, anche per le valli oscure delle difficoltà.

Chiamati a riconoscere in Cristo il Pastore grande delle pecore, che ci guida alle fonti delle acque della vita, preghiamo oggi perché nella Chiesa non manchino ministri dell’altare e consacrati, annunciatori della grazia del Regno e della potenza trasformante della Pasqua del Signore risorto.

In ascolto di Gesù, nel tempio di Gerusalemme
Ci troviamo nella prima parte del Vangelo secondo Giovanni (capp. 1-12), nel cosiddetto libro dei segni, dove il lettore è gradualmente condotto a riconoscere in Gesù il Verbo incarnato, che completa l’opera della creazione e dona di scoprire in se stessi la sete di Lui, per consegnargli la vita e sperimentare la salvezza, che Egli è e dona. Quadri differenti della vita pubblica di Gesù si susseguono, nella descrizione dell’Evangelista, con una medesima dinamica sottesa: mostrare che Gesù è il Messia promesso, il rivelatore del Padre ed il salvatore dell’uomo, chi lo accoglie con fede sperimenta la vita. Questo nella struttura generale della prima parte del Vangelo. Passando, invece, al nostro brano, notiamo come la polemica di Gesù con alcuni Giudei (cf. 9,39-41), dopo la guarigione del cieco nato, continui nel successivo capitolo, il decimo, incentrato sulle figure del pastore e delle pecore, bene attestate nell’Antico Testamento.

Il nostro brano si divide in due parti; nella prima (10,1-5) Gesù si presenta come la porta delle pecore, ma visto che il suo dire non è compreso dai Giudei (10,6), preferisce parlare in modo più chiaro (10,7-10), per passare in seguito, nella terza parte del capitolo, che la liturgia odierna non riporta, alla similitudine del pastore (10,11-18).

Diversamente da quanto ci dicono i Sinottici, Gerusalemme è il quartier generale del ministero pubblico di Gesù. Durante le feste giudaiche si trattiene con la folla e l’ammaestra, mentre farisei e scribi, sadducei e sacerdoti mal sopportano la sua parola e tramano per metterlo a morte. Paziente e misericordioso, affabile e deciso, Cristo non ha paura di essere se stesso e di dire agli uomini le parole che ha ricevuto dal Padre. Pur nell’avversione palesemente mostrata dai Giudei, continua la sua missione e proclama, senza timore, il suo insegnamento. La formula introduttiva, usata di frequente dall’autore, “In verità, in verità vi dico” (10,1) serve ad indicare la solennità delle affermazioni di Cristo ed il suo desiderio di trasmettere, con autenticità, quello che ha da ricevuto in dono dal Padre, perché l’uomo trovi in Lui vita e salvezza. Dire la verità è ciò che caratterizza la predicazione di Gesù, un verità la sua non solo di ordine concettuale – non dire falsità – ma esistenziale. Cristo è la verità (cf. 14,6), perché svela il mistero della nostra umanità ed offre la chiave per la comprensione di quello che noi siamo. Senza di Lui non possiamo comprendere il groviglio dei pensieri e delle emozioni, dei desideri e dei moti dell’anima che ci costituiscono come creature. Senza Gesù viviamo nella tenebra dell’ignoranza, nel buoi dell’incapacità di capire chi siamo e cosa vogliamo, non riconosciamo, senza Cristo, le trappole del cammino e non ravvisiamo, privi della sua luce, cosa significa vivere nella gioia e nella pace, in noi e tra noi. Il Maestro ci dice sempre e solo la verità, la sua parola ci libera dall’illusione, svela l’inconsistenze delle delusioni, smaschera le fantasie che il demonio alimenta, suscita il coraggio per camminare sulla difficile ed esigente via dell’amore maturo e della responsabile gioia. La parola del Signore è incisiva, il suo insegnamento penetrante, il suo dire ci stana dalla falsità, il suo sguardo rifugge il compromesso, che spesso attuiamo, nel timore di perdere le nostre sicurezze, che sono pura illusione. Accogliere la parola vera e liberante di Cristo è ciò che siamo chiamati a fare, lasciare che il suo Vangelo scenda nel cuore e faccia lunghi solchi, perché, seminata la volontà del Padre, vi cresca, con l’indispensabile concorso del suo Spirito. Offrire delle parole che introducono la solennità della sua rivelazione mostra la pedagogia di Cristo, che siamo chiamati anche noi ad attuare. Non tutte le nostre parole sono uguali, ma tutte devono essere vere, offrendo qualcosa di noi, mostrando il cuore ed i sentimenti nostri, pur senza mercanteggiarli. Abbiamo bisogno di autentiche pedagogie di comunicazioni, che non sminuiscono i contenuti e non offuscano il vero ed il bello della parole, ma ne mostrano la sacralità e ne svelano l’incisività, pedagogie di comunicazioni che non nascondono o edulcorano il vero, ma che sono al servizio della verità dell’uomo e della costruzione del suo bene. Gesù è la nostra verità e tutto ciò che dice ed opera è per noi modello di ciò che siamo chiamati ad essere e fare, nelle parole e nei pensieri, nei gesti e nei sentimenti, nelle intenzioni e nelle opere. Per questo è importante mettersi alla scuola di Cristo e permettere alla sua parola di scendete in noi per donarci la luce.

Guardarsi in verità
Il Vangelo secondo Giovanni è ricco di auto-rivelazioni di Gesù offerte ora ai discepoli ora alle folle, a seconda delle situazioni narrate. Non bisogna credere che l’Evangelista voglia, in tal modo, unicamente mostrare il mistero dell’identità del Verbo incarnato, rendendolo comprensibile alla nostra mente, perché c’è anche una ricaduta della sua rivelazione sull’uomo. Nel momento in cui il Signore si mostra alla samaritana come la sorgente dell’acqua via, rivela alla donna la sete del suo cuore; alle folle sfamate dal suo moltiplicare i pani ed i pesci, presso Cafarnao, mostra che la fame del cuore può essere soddisfatta unicamente da quel Pane vivo, disceso dal cielo, che è Lui; nella festa delle Capanne, il suo presentarsi come la luce del mondo indicherà nell’uomo il desiderio di vincere le tenebre, per camminare nel chiarore. C’è uno stretto rapporto tra ciò che Gesù è e quanto l’uomo non riconosce di essere, tra la soddisfazione che Cristo offre ed il bisogno che l’uomo ha, pur credendo di non avere. Il Signore, venuto nel mondo, mostra all’uomo la via della purificazione dei nostri desideri, perché quelli veri, profondi, autentici possono trovare in Lui soddisfazione e pace. Per questo le folle sfamate dai pani moltiplicati, al pari della samaritana devono passare su un livello superiore, dai bisogni primari a quelli del cuore, perché non tutti i bisogni rispondono al nostro vero bene e ci conducono a quello che rappresenta il nostro profondo e autentico meglio. Lasciare che Cristo sveli i nostri bisogni, che mostri a noi stesi quello che siamo, i desideri che abbiamo, senza fermarci a livelli intermedi, a cisterne che non ci dissetano, a sogni che non ci conducono a nulla. Dobbiamo scendere la scala di noi stessi, perché solo se ci guarderemo in profondità accoglieremo Cristo come veramente necessario per noi e Lui acqua e vita, luce e pace, pane e salvezza sarà per noi l’uomo-Dio, che ci conduce ad essere noi stessi, secondo il volere del Padre. Il vero problema è per noi essere veri e Cristo è venuto proprio a farci compiere questo cammino di verità, che è al tempo stesso di liberazione dalle nostre false illusioni, perché Egli sia veramente per noi la sorgente del nostro essere e la fonte della nostra piana realizzazione. Ala luce di Cristo, possiamo vedere meglio noi stessi e camminare sulla strada della ricerca sincera del nostro autentico bene. Non fermiamoci a stati intermedi. Permettiamo a Cristo di svelarci chi siamo veramente e cosa desideriamo. È Lui che cerchiamo, pur senza saperlo, è Lui che vogliamo, pur senza conoscerlo, la sua parola è verità, la sua presenza fonte di gioia vera e profonda.

Stare attenti ai segni di bene, rifuggendo quelli di male
La prima cosa che Gesù fa è metterci in guardia da coloro che entrano nel recinto delle pecore non per la porta, ma usano sotterfugi e altre aperture. Leggiamo, infatti, chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore(10,1-2). Distinguere il ladro ed il brigante dal pastore comporta avere dei criteri ed applicarli concretamente alla vita. Gesù, infatti, ci offre dei principi semplici e chiari, che vanno utilizzati nella nostra quotidiana esperienza. Le parole del Vangeli, la voce della Chiesa la grazia dei sacramenti, il dialogo ed il confronto con gli altri, l’incontro con una persona che ci illumina con la sua parola ed esperienza sono i canali attraverso i quali Cristo ci dona le chiavi per la comprensione della vita che va decodificata. La nostra storia è un codice che va compreso, le nostre esperienze contengono luci che spesso non riusciamo a vedere. La parola di Cristo ci dona i parametri per orientarci nel bene e per saper distinguere la via cattiva da rifuggire. La regola per distinguere il ladro dal pastore, il brigante dal guardiano è vedere da dove entra in noi. È una nota importante questa anche in ordine ai pensieri, che spesso ci destabilizzano, ai sentimenti che ci inquietano, alle sollecitazioni, che non è detto vengano da Dio. Quello che il Signore ci dona entra nel cuore, per la porta, non cerro per la finestra. Il demonio, invece, utilizza sotterfugi, una mormorazione ascoltata, un ricordo non pacificato, un’offesa ricevuta e non perdonata. Proprio come accadde ad Eva, anche per noi è importante vedere da dove vengono le voci, dove nascono le ispirazioni, da quali fonti provengono le sollecitazioni e le intenzioni. Questo significa che distinguiamo il bene dal male, sulla base della sua fonte, che separiamo il vero dal falso, da chi ci parla, il giusto dall’ingiusto da quello che ci viene proposto e da chi lo presenta. Anche il cuore ha la sua porta e per essa entra Cristo. Riconosciuto dalla nostra mente che fa da guardiana e dal cuore, che ne conosce la presenza e la voce, Egli non ha bisogno di sotterfugi. Come la maddalena ne riconobbe la voce, perché chiamata per nome, così anche noi possiamo accogliere Cristo, perché l’animo nostro lo conosce, la mente lo brama, il cuore lo desidera. Bisogna non solo vigilare sulla porta del cuore, che spesso in noi coincide con i sensi – nulla è nell’intelletto, che prima non passi per i sensi, principio di filosofia medievale, circa la conoscenza, importante anche nella vita spirituale – ma impedire la salita dei ladri, combattere le interferenze dei briganti, evitando che altre aperture siano facilmente attraversabili, perché il demonio attende le nostre distrazioni e approfitta della nostra debolezza. Eva avrebbe dovuto riconoscere prima ancora della voce del demonio, la sua presenza, il suo strisciare sulla terra, che poi diventa il suo insinuare il dubbio nel cuore. Analizzare le entrate secondarie, chiedersi dove il male possa far breccia, i desideri cattivi imporsi, le apparenti cose buone farsi strada è di fondamentale importanza nel discernimento spirituale. Come un albero cattivo non può fare frutti buoni, così chi entra in noi non attraverso, imponendosi con sotterfugi, non viene se non per distruggere e rubare. Anche nelle amicizie e nei rapporti tra noi è così. È facile riconoscere un amico da un adulatore, distinguere un approfittatore da un compagno di viaggio. L’attenzione del brano è posta sulla figura del pastore. Solo a lui il guardiano apre, solo a lui le pecore donano il docile ascolto. Se Cristo è il mio pastore, come il Salmo 22 ci fa dire con gioia trasporto di anima lieta, ciò che significa che davanti a Lui, alla sua presenza, alla parola che dona, allo sguardo che ci rivolge, alle indicazioni che offre siamo chiamati a rispondere con obbediente affetto e con amorevole docilità.

Scrive Giovanni: Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori (10,3). Aprire la porta a Cristo è quanto ci vien chiesto, spalancarle al Salvatore, permettendogli di chiamarci per nome è l’inizio del cammino spirituale. Gesù entra nella vita di chi lo accoglie, si dona a quanti lo cercano con cuore sincera e, al pari di Tommaso, lo aspettano, vivendo la macerazione interiore dell’incomprensione dei fratelli, la notte oscura del non essere compresi dagli altri. Ascoltare Gesù, fare spazio alla sua voce significa non permettere che ladri ci illudano, che briganti ci devino, che chicchessia possa prendere il posto che spetta al Signore. Solo Cristo ci parla e ci chiama per nome, solo la sua voce noi riconosciamo tra mille. È questa la vita interiore, la grazia della preghiera, l’intimità con Cristo, la forza della comunione con Lui: farlo entrare in noi, affidargli il cuore, permettergli di sedere sul trono del nostro animo, dopo averlo liberato da ogni cosa che ha cercato di prendere il suo posto; dargli voce, attenzione, affetto, come noi abbiamo in Lui trovato affetto, comprensione, cura ed attenzione. Farsi chiamare per nome, sapendo che il timbro della sua voce è riconoscibile tra mille, così da dire come le guardie andate a catturarlo “Mai un uomo ha parlato così” (7,46). Si tratta di passaggi consequenziali quelli che costituiscono la vita di preghiera: prima si permette a Cristo di entrare in noi, i nostri sensi, al pari del guardiano delle pecore, lo riconoscono e confessano che Lui è il Signore e poi ascoltiamo la sua parola e riconosciamo la sua voce.

L’ascolto è quindi la seconda tappa, mentre quella previa del cammino interiore è distinguere chi entra per la porta da coloro che entrano in noi per altre vie. Nella vita spirituale l’ascolto di Dio rappresenta una tappa essenziale. Lo apprendiamo da Maria, Madre del Signore, che diventa con la vita, oltre che con il suo seno, cavità accogliente per il Dio che le parla, attraverso l’angelo ed Elisabetta, i pastori ed i Magi, Simeone ed Anna e massimamente attraverso il suo dolce Figlio. ascoltare come Lei, far risuonare la sua voce nel cuore, come l’animo della Vergine, in cui la parola è custodita e meditata con fede. La parola deve radicarsi in noi perché fiorisca la lode, nasca la supplica, si sviluppi quel dialogo di Cristo con l’anima che lo cerca e lo accoglie come la vita della sua vita, la sorgente dell’acqua di cui ha sete. Quando Dio parla al cuore l’animo nostro lo riconosce. La sua voce è dolcezza, la sua presenza è forza, il suo amore è vita, il suo sguardo è grazia. Riconosciuto tra mille, il Pastore, diversamente dal ladro e dal brigante e dai cattivi pastori da cui mettono in guardia le pagine dell’antica Scrittura, ci libera da quello che non rappresenta un bene. L’azione di Cristo pastore è infatti indicata dall’Evangelista come un condurre fuori. Egli non chiude ma apre, come con i discepoli, inviati ad uscire dal cenacolo per annunciare il perdono ei peccati e la vita nuova della riconciliazione e della misericordia. Il chiuso non fa per noi, abbiamo bisogno dell’aria come Cristo che ha predicato la sua parola tra e folle. Il Pastore ci libera dagli schemi mentali che impediscono alla sua grazia di trasformarci. Per questo bene vengano le destabilizzazioni, che cristo permette. Servono a farci crescere, a compiere dei passi in avanti, a non accontentarci delle solite pasture, per trovare stimoli nuovi per farci crescere. Dobbiamo andare fuori, non per il gusto di uscire, ma per vivere l’impegno di annunciare il Vangelo. Questo però è possibile se Cristo in noi scardina le nostre mentalità grette, se allarga gli spazi della nostra tenda interiore, se dona il suo Spirito di vita nuova, lì dove la morte ha seminato lo scoraggiamento e la tristezza. Nella vita nuova poi abbiamo bisogno di essere guidati, nei cambiamenti abbiamo necessità di essere orientati, mai lasciati a noi stessi. Per questo Gesù dice E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce (10,4). Gesù spinge fuori tutti, vuole che tutti viviamo la gioia della liberazione da ogni situazione che non giova al nostro bene e poi cammina davanti alle pecore, perché solo Lui può farci da guida nella vita nuova della grazia, allontanando la tentazione di camminare nell’illusione di stare sulla strada sbagliata. Il demonio non sopporta che noi camminiamo nella luce del Risorto, per questo ci fa credere che la nostra via sia errata, frutto di una nostra illusione. La presenza di Cristo pastore innanzi a noi ci assicura che la strada che percorriamo è quella tracciata dal padre per noi e sarà Lui a portarci lì dove è giusto e secondo il Padre procedere, per compiere la sua volontà. Si tratta dell’itinerario della sequela, nel cuore Cristo pone la sua dimora e regna in noi, per liberarci da ogni condizionamento, permettendoci di seguirlo lungo le strade della vita, sapendo che sulle sue orme siamo chiamati a mettere i nostri piedi.

Seguire solo il buon pastore
Fuggire dagli estranei che vogliono impedirci di camminare dietro a Gesù è l’impegno che deve caratterizzare il nostro cammino, perché non possiamo credere che eliminati i nemici interiori, quelli esteriori si facciano da parte. Quanto è difficile fronteggiare le lotte che continuamente si presentano! Ma non siamo soli, perché Cristo è con noi e ci guida alle sorgenti delle acque della vita. Se il Maestro non sortisce l’esito sperato con i primi versetti (10,1-5), la sua misericordia lo conduce a provare ancora con noi, battendo strade diverse per donarci la salvezza. La seconda parte del brano odierno (10,6-10) ci porta ad approfondire ulteriormente la parola di Gesù, indicandoci che è necessario sminuzzare quanto il Signore ci dice, perché il cuore possa fare spazio a Lui ed accoglierlo. Contenuto e modalità sono le indicazioni che Cristo ci dona, perché non basta che quanto diciamo risponda al vero, è anche necessario che la modalità offerta rispetti e non manometta quello che viene donato. È il criterio del fare “la verità con carità” (Ef 4,5), di cui Cristo è la significativa esemplificazione.

Domandiamo al Signore di essere pecore del suo pascolo e di farci condurre alle fonti della vita, dove solo Lui ci può portare, per esserne testimoni ed annunciatori, con la vita traboccante della gioia dell’amicizia con Lui.