Lupi o agnelli?

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
06 luglio 2025


Lc 10,1-12.17-20
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Parola del Signore.

Omelia R.P. Vincenzo Ippolito:

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Versione testuale

Il Signore conceda a tutti quanti noi la sua grazia e la sua pace.

È significativo ricominciare il Tempo Ordinario attingendo dal capitolo decimo del Vangelo secondo Luca, dove il Signore, lo abbiamo ascoltato, designa settantadue discepoli, inviandoli ad annunciare il Vangelo, a scacciare il male e ad essere segno del bene che viene da Dio, perché soltanto in Lui noi possiamo avere in abbondanza la vita. È significativo ascoltare questa pagina del Vangelo perché la grazia che abbiamo ricevuto nel Tempo di Quaresima e nel tempo di Pasqua, così come anche nelle ultime solennità che hanno scandito il cammino della Chiesa, va tradotta in testimonianza concreta. Noi, infatti, siamo chiamati ad essere il sale della terra e la luce del mondo. C’è, in realtà, questa osmosi, questa unione straordinaria, questa comunione profonda tra quello che Dio opera dentro di noi, per la conversione della nostra vita, per la ricchezza della nostra interiorità, per il cambiamento profondo della nostra personalità, perché tutti siamo chiamati ad essere conformi a Gesù Cristo, e quello che facciamo al di fuori, perché così come la parola attinge dalla ricchezza del cuore, così come lo sguardo viene modellato da ciò che ci portiamo nell’animo, così come la realizzazione della nostra vita trae forza e motivo dall’ispirazione dei nostri pensieri, la vita cristiana, il regno di Dio, che per opera dello Spirito Santo vogliamo costruire qui in terra, è il segno di questo lavorio interiore che il Paracleto opera in noi.

La liturgia ci dà la possibilità di vedere che l’identità e la missione della Chiesa e di ogni battezzato è manifestare all’esterno la ricchezza che c’è nel nostro cuore, sia perché, è lo stesso Gesù che ce lo dice, “la bocca parla per l’abbondanza del cuore”, sia anche perché tutto quello che noi riusciamo a realizzare all’esterno, se non è radicato in una conversione interiore e in un cammino concreto ed autentico di sequela di Cristo Signore, non vale niente. San Paolo scrivendo ai Corinzi dice “Se anche avessi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità io sono come un bronzo che risuona e un cembalo che tintinna”. È la carità riversata da Cristo nel nostro cuore che diventa potenza di annuncio e grazia di evangelizzazione per la Chiesa, come per ogni cristiano. Oggi ora siamo chiamati a riscoprire la nostra vocazione battesimale ad essere annunciatori del Vangelo, perché tutti nella Chiesa, proprio tutti, a diverso titolo e vocazione, siamo chiamati all’evangelizzazione e a vivere l’ansia di Paolo che dice “Guai a me se non evangelizzo, guai a me se non annuncio il Vangelo”. Dalla prima lettura che ci presenta questo canto di esultanza del profeta Isaia agli esiliati che, ritornati nella terra promessa, devono mettere mano alla ricostruzione della grande Nazione del popolo di Israele, alla pagina evangelica dove Gesù dona delle indicazioni concrete nell’annuncio della salvezza, passando per la Seconda Lettura, la chiusura della lettera ai Galati, dove Paolo è consumato, nel cuore e nel corpo dalla presenza del mistero della croce di Gesù Cristo, tutto gronda della necessità di annunciare il Vangelo ad ogni creatura, vivendo così quello che Francesco ben delinea nei suoi scritti, poiché il Signore mi ha donato misericordia, io “sono chiamato ad annunciare, a donare, le fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita”. Francesco annuncia il Vangelo perché è consapevole della responsabilità dell’esperienza che Dio gli ha concesso. Questo significa che se non c’è un’esperienza viva di Dio, se non ci sentiamo chiamati da Cristo, se la sua parola non fa in noi lunghi solchi, così da portare frutto, secondo la grazia e secondo la nostra disponibilità, l’annuncio del Vangelo è inutile e la nostra testimonianza è come quel sale che, perso il sapore, viene gettato e calpestato dagli uomini.

Cerchiamo brevemente, carissimi, di entrare nella struttura di questo brano evangelico e di tutta quanta la liturgia, per riscoprire la nostra chiamata battesimale, perché tutti, innestati in Cristo, sacerdote, re e profeta, siamo chiamati ad offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, gradito a Dio, nella dimensione sacerdotale di quel sacerdozio comune che abbiamo ricevuto il giorno del nostro battesimo, mettendo a frutto la grazia della regalità che Cristo Signore ci ha donato, ovvero manifestare agli uomini che Cristo è uno e noi partecipiamo al suo Regno, annunciando la bellezza, la grazia e la pace e, al tempo stesso, donando la nostra vocazione profetica ad essere segno del Regno che verrà, della potenza della misericordia che si instaurerà alla fine dei tempi. Che lo Spirito Santo ci faccia rispolverare, riscoprire la nostra dignità, perché, innestati in Cristo, sacerdote, re e profeta, diventiamo nel mondo segno della presenza del Signore, della Sua parola di vita, che guarisce, risana, risuscita e dona a tutti la pienezza della gioia.

Ci troviamo nel capitolo decimo del Vangelo secondo Luca, lì dove l’Evangelista, nel presentarci l’invito pressante di Gesù all’evangelizzazione, ci ha dato la possibilità di lasciare alle spalle il capitolo nono, dove sul finire abbiamo il cammino di Gesù verso Gerusalemme. Così l’Evangelista ci vuole dire che ogni evangelizzazione è innestato nel cammino pasquale di Gesù. Nel momento in cui noi annunciamo il Vangelo, diamo testimonianza della presenza del Salvatore, noi siamo la continuazione dell’opera della salvezza di Gesù Cristo; noi siamo legati a Gesù Cristo, innestati nel mistero della Sua Pasqua. Come i discepoli annunciano il Vangelo, innestati nella missione di Gesù e nel suo cammino verso la Pasqua, anche noi possiamo annunciare il Vangelo, uniti con Gesù Cristo, dall’obbedienza alla Sua parola, mettendo a frutto la grazia dello Spirito Santo che ci è stata data. Ma l’Evangelista ci fa comprendere anche un’altra cosa, che Gesù è ben consapevole della vocazione da affidare ai discepoli, non ha la presunzione di poter fare da solo, in Lui c’è tutta grazia, tutta potenza, tutto amore, ogni virtù e misericordia, in Lui non c’è di certo la presunzione di poter fare da solo, presunzione che è presente di solito in tutti quanti noi, siamo convinti di essere degli ottimi battitori liberi. E se chiediamo la collaborazione degli altri, vogliamo l’obbedienza incondizionata, non riusciamo a lavorare insieme, a dialogare insieme, a cercare la quadra insieme delle situazioni, ad analizzarle e a risolverle, con l’aiuto dello Spirito Santo, così da poter dire, come gli apostoli nel Concilio di Gerusalemme, “lo Spirito Santo è noi”. Siamo invece abituati a dire sempre e solo io, “io dico, io faccio, io voglio, io pensai, io volevo dire, io volevo fare”. Questo io che diventa l’espressione del nostro egoismo, del nostro orgoglio, dell’incapacità a costruire il noi, delle nostre comunità e della nostra fraternità. Gesù invece si lascia aiutare e spinge i discepoli a scoprire la propria vocazione e missione a collaborare all’opera di Gesù Cristo. Ne disegnare i settantadue – secondo il libro della Genesi, al capitolo decimo, sono le nazioni di tutta la terra, diventa un numero simbolico ad indicare il desiderio di Gesù che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza perfetta della verità – tutti gli uomini hanno diritto alla salvezza, tutti gli uomini possono trovare nel Vangelo del Salvatore la forza del riscatto, la potenza della guarigione e la grazia di una vita nuova.

Ora, se gli altri, ogni uomo, ha diritto al Vangelo, noi abbiamo il dovere di annunciare il Vangelo. Per questo Paolo può dire “È un dovere per me l’essere evangelizzatore e donare la parola di salvezza agli altri”. Gesù prende questi settantadue, prima di tutto li forma, li ammonisce e poi li invia. Ed è questa una dinamica fondamentale nella vita cristiana. Noi veniamo prima di tutto formati e poi inviati. Questo non significa che la formazione e la preparazione ci renda perfetti, quanto, invece, che ci dà quelle basi essenziali per affrontare l’evangelizzazione e per vivere la sfida dell’annuncio del Vangelo. La formazione continuerà per i discepoli, perché è la vita che li formerà. La parola del Signore gli ha dato quelle indicazioni essenziali, ma, di certo, non avranno subito compreso e quella parola li sosterrà nel silenzio, illuminerà la loro fatica, sosterrà le loro cadute, sarà ragione per rialzarsi nel fallimento, aprirà orizzonti nuovi, man mano che faranno esperienza, nella loro vita di che cosa significa evangelizzare, cosa significa trovare dei cuori docili o anche dei cuori duri, alla potenza del Vangelo. Formati ed inviati. Una volta inviati continuamente saranno formati dalla parola del Salvatore. Per questo, prima di recitare insieme il Padre Nostro, la liturgia, attraverso il celebrante, ci ammonisce, ci esorta, “Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento”. L’obbedienza è accompagnata dalla formazione. Più obbedisci al Signore, più vieni formato, viene forgiato, viene interiormente plasmato.

Carissimi, non è che tante volte noi crediamo di essere già perfetti e di non aver bisogno di essere formati? Non è che in noi c’è la presunzione di sapere già tutto e possiamo essere i maestrini dalla penna rossa, nella vita degli altri, perché noi sappiamo sempre ciò che è bene, giusto e santo? Non è che dobbiamo chiedere al Signore oggi di crescere nell’umiltà e di renderci conto che abbiamo ancora bisogno di camminare nella fede? Gli apostoli, infatti, non sono perfetti per evangelizzare, sono uomini e donne che vivono l’apostolato e il discepolato nella continua disponibilità al Signore. Il discepolo fa il maestro, ma non diventerà mai il maestro, perché il maestro è uno ed è Gesù Cristo. “Noi fungiamo da ambasciatori”, dice Paolo, “come se Cristo esortasse per mezzo nostro”, ma noi saremo sempre e solo dei discepoli che ricevono la Parola e che la donano con la parola e con la testimonianza della vita. Questo devono comprendere i discepoli, i settantadue, questo è ciò che dobbiamo comprendere noi. L’evangelizzazione, quindi, viene portata avanti in misura della disponibilità alla parola del Salvatore. Le nostre parole possono dare anche delle informazioni belle, offrire la parola del Signore, ma la vita deve accompagnare la parola. Per questo Sant’Antonio dice che “i predicatori devono annunciare il Vangelo con le labbra, ma la vita diventa la conferma della parola che annunciano”. Quindi noi dobbiamo essere formati nella vita oltre che nelle parole, perché le parole non bastano, serve una vita che è trasformata dal Vangelo e che parla agli altri della potenza di questa parola di Dio che gronda di Spirito Santo ed è capace di trasformare la nostra esistenza.

Chiediamoci, carissimi fratelli e sorelle, ma quando gli altri ci vedono, si rendono conto che noi siamo cristiani? Quando gli altri ci ascoltano, quando vedono le nostre scelte, i nostri silenzi, si rendono conto che noi siamo discepoli di Gesù oppure non è che tante volte capita di vedere che la nostra vita è da contro testimonianza della parola che annunciamo? Non è che tante volte noi prediciamo bene e razzoliamo male e la nostra vita non è plasmata da quella parola che abbiamo la presunzione di donare agli altri?

La liturgia di oggi ci dice proprio questo: plasma la vita, plasma le tue scelte, lascia che il Signore converta il tuo cuore, lasciati raggiungere dalla grazia della sua misericordia, lascia che il Signore ispiri i tuoi propositi, guidi le tue intenzioni, motivi le tue scelte, traduca la sua parola attraverso l’Eccomi, che come Maria, tu pronunci allo Spirito Santo, perché possa fare di te quel Vangelo vivente che tutti possono leggere. Questo significa che dobbiamo essere formati dal Vangelo, formati nella vita, formati nelle mente, negli occhi, nelle parole, nei sentimenti, nell’udito, nel cuore, nel corpo. Anche nel corpo noi siamo formati dal Vangelo. Quando non accettiamo le malattie, quando non riusciamo a vivere con serenità gli acciacchi della vita o dell’età, quando il mistero della morte ci assale e non sappiamo fronteggiarlo, con fede, questo sta a dire non soltanto la nostra debolezza, che talvolta ci porta alla ribellione a Dio e alla sua volontà e alle situazioni della vita, ma dice come noi non ci lasciamo plasmare dal Signore, non riusciamo a vivere anche il silenzio della non comprensione, non ci abbandoniamo a Lui, non lasciamo che Egli sia il nostro Signore, nella buona e nella cattiva sorte. È come se la liturgia dicesse: lasciati formare interamente da Dio; lascia che Lui ti plasmi il cuore e che renda la tua vita Vangelo vivente, perché gli altri lo possano leggere, senza che tu lo annunci, perché gli altri lo possano vedere incarnato in te, senza che tu lo sbandieri, perché gli altri possano venire, attraverso di te a contatto con la parola della salvezza, che diventa balsamo di resurrezione di vita per tutti quanti. Forse Maria non ha annunciato ilo Vangelo, quando è andata nella casa di Zaccaria ed Elisabetta? Non ha detto nulla, ma la sua vita era plasmata dal Verbo che ella portava nel grembo e ha donato, potremo dire con le parole di Francesco, “le parole odorifere del Signore”, ovvero la sua presenza è diventata una parola che ha profumato la casa di Ebrom e ha donato ad Elisabetta la certezza che Dio la stava visitando e che Maria era la Madre del Signore, che benevolmente si metteva al suo servizio, come scrive Luca, sul finire del capitolo secondo, dicendo che Maria “rimase lì, per tre mesi. Poi tornò a casa sua”.

Tante sono le indicazioni che ci vengono dal brano evangelico di questa domenica. Io vorrei soffermare soltanto su alcune. La prima, Gesù dice “Andate” e poi continua “vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. È fondamentale questo verbo “Andate”. Noi siamo abituati a vivere la vita cristiana come un eterno rimanere, seduti ed accomodati. Non è questa la Chiesa di Cristo, non è questo il compito dei discepoli del Salvatore. C’è il dinamismo della fede. Dio mi raggiunge e io raggiungo gli altri. Se noi siamo fermi significa che non ci lasciamo raggiungere da Dio e non ci lasciamo neanche scomodare dalle situazioni di disagio dei nostri fratelli. Dobbiamo vivere, invece, il movimento della fede, la grazia della conversione. Raggiunti da Dio, dobbiamo raggiungere gli altri, perché abbiamo questo tesoro in vasi di creta che dobbiamo affidare alla mano dei nostri fratelli, perché diventi un patrimonio comune di cui tutti quanti possiamo rallegrarci. “Andiamo”. Quante volte, invece, noi ci blocchiamo? Siamo chiusi nelle nostre chiese, nei nostri gruppi, nelle nostre comunità, non tanto a fare proselitismo, perché la Chiesa non ha bisogno di proselitismo. La Chiesa, ci ricorda Benedetto XVI, non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione a Cristo Signore. Se tu ti lasci attrarre da Cristo vieni convertito e vieni riempito di misericordia. Il dinamismo della fede non sta nel fare proseliti, ma nel risvegliare nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio, quel desiderio che il Creatore ha messo fin dalla fondazione del mondo. Quante volte noi siamo troppo fermi? Siamo troppo comodi? La comodità non è per i discepoli del Signore. “Gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, le volpi le loro tane, il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

La prima grazia da chiedere al Signore è quella di partire, di andare, ma di partire non solo con i piedi, non solo con i nostri atteggiamenti, non solo con le nostre parole. Il problema è partire con la mente, perché noi siamo bloccati nella mente, siamo bloccati nel cuore, perché incapaci di metterci in movimento. Quando qualcuno ci dice qualcosa, noi non riusciamo a pensare a quello che l’altro ci sta dicendo. Noi siamo convinti delle nostre idee e non vogliamo essere messi in discussione. Questo avviene, quando io disobbedisco a Gesù che mi dice di andare. Anche con la mente bisogna andare, bisogna aprirsi, bisogna mettersi in movimento con la mente; bisogna lasciare che lo Spirito Santo ci illumini, bisogna andare con il cuore, bisogna andare con i piedi, bisogna andare con tutto nei stessi verso gli altri. Chiediamoci, ma non è che io sono bloccato nella mente, nel cuore, negli atteggiamenti e non riesco ad andare? Chiediamo la grazia dello Spirito Santo che ci spinga a vivere il dinamismo della fede, della comunione e della fraternità ricercata insieme con gli altri.

In seguitoGesù dice “io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. Cosa significa? Significativo che Gesù, prima di dire queste parole, chieda ai discepoli la preghiera. “La messa è molta, gli operai sono pochi”, cioè, avrete di certo difficoltà. Ma cresci nell’umiltà, renditi conto che tu non puoi fronteggiare le situazioni, la messa è grande. E poi con questa parola sta dicendo, la messa è anche difficile. Ha bisogno di essere sostenuto dalla preghiera per renderti conto che tu non sei onnipotente, Dio è onnipotente attraverso di te. E poi hai bisogno di ricordare che ci sono difficoltà, che ci sono problemi, che ci sono contrarietà.

Noi, carissimi fratelli e sorelle, desideriamo una vita senza problemi, ma non esiste qui sulla Terra, esiste solo in paradiso una vita senza problemi e forse anche lì ci sono i problemi, perché i santi non se ne stanno tranquilli partecipano sempre alle vicissitudini e alle difficoltà di noi uomini, si prendono a cuore i nostri desideri, soffrono per i nostri problemi, diventano intercessori di grazie per tutte quelle situazioni che noi presentiamo. Essere agnelli in mezzo ai lupi cosa significa? Prima di tutto, come si è agnelli, perché molto spesso noi crediamo di essere agnelli, ma azzanniamo peggio dei lupi, anche se crediamo di non avere il pelo e di avere la lana. Essere agnelli significa lavare le proprie vesti nel sangue di Cristo agnello, Noi nasciamo per la grazia del nostro battesimo come agnelli, ma poi man mano che andiamo avanti le situazioni della vita determinano diversamente. Noi possiamo essere agnelli. seguiamo Gesù. che è il buon pastore che ha cura di tutte quante le sue pecore. È lui che ci purifica è lui che ci santifica, è lui che trasforma la nostra mente il nostro cuore che ci fa diventare delle persone migliori. È come se la liturgia ci dicesse, ma tu sei veramente un agnello? Analizzati, mettiti davanti al Signore, offri la tua esistenza a Gesù Cristo, lasciati purificare dal suo cuore, dalla potenza della sua misericordia, lava le tue vesti, perché diventino candide, nel sangue dell’agnello. Poi il secondo passaggio “agnelli in mezzo ai lupi”. Carissimi fratelli e sorelle, molto spesso capita che, per fronteggiare la cattiveria di quelli che noi consideriamo lupi, diventiamo delle pecore che si vestono da lupi e diventano più cattivi dei lupi.

Dobbiamo quindi chiedere al Signore la grazia di rimanere sempre degli agnelli e di non azzannare i lupi. peggio di come fanno i lupi, ma come si far ad andare insieme la purezza dell’agnello e la violenza del lupo. Forse il lupo sbranerà, forse il lupo ucciderà, forse i lupi mi circonderanno e metteranno in seria discussione la mia stessa vita

Gesù sta dicendo: tu devi essere come me devi essere quell’agnello che si consegna agli altri, ma non soltanto a coloro che sono lupi, che si consegna al Padre. Gesù è agnello perché si abbandona al Padre si lascia difendere dal Padre “Non come voglio io come vuoi tu”. Noi, invece, carissimi per combattere gli i lupi diventiamo ancora più lupi, li vogliamo convertire, li vogliamo ammonire, ma non si ammonisce con la violenza, non si convertono gli altri, alzando la voce; non si cerca di cambiare il loro cuore, ergendosi come maestri nella dottrina cristiana, no! Gli altri vengono convertiti dalla purezza dell’agnello. Noi abbiamo una testimonianza quanto mai eloquente in Francesco che rende agnello il lupo di Gubbio, ma in che modo? Tutti avversavano quella persona che era un brigante. Francesco, invece, non l’avversa, ma va verso di lui, come un agnello, lo ama lo perdona e questo porta alla conversione di quel lupo. Questo è quello che dobbiamo fare anche noi, carissimi fratelli e sorelle, ma riusciamo a farlo soltanto se noi frequentiamo Gesù, se ci rendiamo conto che dobbiamo essere disarmati e disarmanti interiormente ed esteriormente che non abbiamo nessuna ricchezza, se non Cristo, che non abbiamo nessuna parola per difenderci, se non quella del Vangelo.

Che il Signore renda degli agnelli che sanno stare in mezzo ai lupi e che convertono, per la potenza del Vangelo, i lupi, secondo la volontà del Signore,

C’’è un altro passaggio e concludo così bello. I discepoli tornano tutti pieni di gioia. Hanno annunciato la salvezza, dicono a Gesù “nel tuo nome i demonici obbedivano” e Gesù, sembra sorridere, dicendo “Vedevo Satana cadere dal cielo”. Il Signore accompagna sempre gli evangelizzatori e poi dice “Vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni, sopra tutta la potenza del nemico. Nulla potrà danneggiare” e noi che facciamo? Tremiamo davanti ad ogni cosa, abbiamo paura di ogni situazione siamo insicuri, in ogni tribolazione.

La parola del Vangelo oggi ci fa scoprire la grazia del nostro battesimo; oggi Gesù dice a ciascuno di noi “Io ti ho dato il potere di camminare sopra i serpenti. Io ti ho dato la forza per opporti alle potenze delle tenebre. Nulla potrà danneggiarti”. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Se dovessi cammina in una valle oscura, on ho alcun male perché tu sei con me” “nulla potrà danneggiarti”.  Paolo lo traduce splendidamente “né morte né vita nulla potrà mai separarne dall’amore di Dio in Cristo Gesù”.

Il demonio ci toglie questa certezza, mette il nostro in noi il dubbio, ci de ride, “Mica Gesù sta con te, mica lui difende, sei tu che devi difenderti” “Nulla potrà danneggiarti”: questo Gesù oggi lo dice a ciascuno di noi. “Io ti ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e sopra gli scorpioni. Nulla potrà danneggiarti”. È questa la potenza del Vangelo, che dobbiamo portare con noi; questa è la sorgente della gioia del cristiano: sapere che Cristo è il nostro pastore; Cristo ci difende; Cristo ci ama: è la certezza che deve accompagnarci, è la parola che deve rasserenarci; è l’esperienza che deve portarci continuamente a convertirci a questo Dio, che è solo amore, tutto amore, essenzialmente amore di misericordia per tutti i suoi figli. I nostri nomi sono scritti nel cielo e non dobbiamo esultare, perché il demonio viene sottomesso a noi, ma esultare perché Dio ci ama, Dio ha a cuore la nostra vita; Dio si prende pensiero delle nostre situazioni.

Il Signore conceda a tutti quanti noi, per intercessione di Maria, nostra madre regina, la stessa esperienza di Paola, “Io porto le stimate di Gesù nel mio cuore, nella mia vita”. Il Signore ci dia questa unione intima con Gesù, perché soltanto se noi siamo uniti con Gesù, nulla potrà affliggerci, nulla potrà abbatterci, soltanto se noi siamo stretti a filo doppio sulla stessa croce del Salvatore, nulla, in nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù. Maria preghi per noi, interceda perché, immersi nel costato del suo Figlio Gesù Cristo, noi possiamo avere in abbondanza quella vita, che potenza capace di sconfiggere l’impero di Satana ed essere qui in terra costruttori del regno di Dio, nella giustizia e nella pace. Amen

fra Vincenzo Ippolito ofm